Trainspotting – IL LIBRO

Grazie a Dio esiste Irvine Welsh!

Trainspotting è il suo primo romanzo, era il lontano 1993, da allora ha collezionato un successo dopo l’altro. Di sicuro è stato un debutto allucinante! Anni fa ho visto l’omonimo film girato da Danny Boyle e non riuscivo a capire…ero abbastanza confusa e credo di aver deciso, alla fine, che non mi era piaciuto per niente. Oggi posso ammettere con me stessa di aver commesso un grosso, enorme, ed ingenuo errore! Quindi, dopo aver finito il libro, prenderò il DVD che si trova nella stanza accanto, mi metterò comoda sul divano con il gatto e lo rivedrò consapevole di essere davanti a qualcosa di irripetibile.

Welsh è scozzese e Trainspotting è giustamente ambientato nella capitale della Scozia. Quella che abbiamo davanti agli occhi è l’Edimburgo di fine anni ottana. Una città che, come molte altre, si divide in più parti: c’è la vita agiata e relativamente tranquilla del centro e dei quartieri alti, poi ci sono i sobborghi come Leith, dove vive il gruppo di tossicodipendenti protagonista di queste pagine. Un capitolo alla volta entriamo nella mente bruciata e allucinata di persone che, al tempo, non erano nemmeno trentenni, in alcuni casi nemmeno venticinquenni. Le loro vite consumate dall’eroina, dalle anfetamine, dall’alcol e da qualunque altra droga potesse colmare il buco dentro al loro petto. Tra sballi e periodi di pulizia del sangue, queste persone sono un ritratto crudo e sincero di una generazione che non si ritiene parte di niente, che snobba la società perchè non si conforma, che piuttosto di combinare qualcosa (qualsiasi cosa) per cercare di capovolgere la propria situazione personale, si buca o beve o fa a botte o deruba i turisti.

La trama è confusionale, o forse semplicemente non c’è una trama. Welsh scrive come se stesse parlando, anzi, come se Renton o Sick Boy o Spud o qualche altro, stesse parlando. Nei periodi di lucidità si segue il filo del discorso e si riesce a capire bene o male cos’è successo prima di quel momento. Nei periodi immersi dentro la droga o l’alcol, invece, tutto diventa un agglomerato confuso e incomprensibile. Tra parolacce e atti di violenza si entra nei pub o nelle case popolari in cui questi tizi si bucano e si sballano fino a cadere in uno stato catatonico quasi impenetrabile.

Ecco cosa pensa uno di loro, Rents, dell’eroina (tanto per dare un’idea):

“Cazzo, sai che veramente non lo so, Tom. Ti fa sembrare più vere le cose. La vita è una rottura di palle, non ti dà mai un cazzo. Partiamo tutti pieni di belle speranze, che poi ci restano in canna. Ci rendiamo conto che tanto dobbiamo morire, magari senza riuscire a trovare le risposte che contano veramente. Ci facciamo venire un sacco di idee del cazzo, tanti modi diversi di vedere la realtà della nostra vita, ma senza mai veramente capire un cazzo delle cose che contano, delle cose importanti. Insomma, campiamo troppo poco, la vita è una delusione; e poi moriamo. Ce la riempiamo di merda la vita: la carriera, i rapporti e roba del genere, per illuderci che magari non è tutto inutile. L’eroina è una droga onesta, perchè toglie di mezzo tutte le illusioni. Con l’ero, se stai bene ti senti immortale. Se stai male ti senti ancora più di merda, ma è merda che c’era già da prima. È l’unica droga veramente onesta. Non perdi mai la conoscenza. Ti dà una botta e basta, ti fa star bene. Poi dopo vedi quanto fa schifo il mondo così com’è e non ci puoi più fare un cazzo, non ti funziona più l’anestesia”.

A volte è davvero duro da leggere, in più di un’occasione mi sono ritrovata arrabbiata contro lo strafatto di turno che sembra vivere in una dimensione parallela completamente staccato dalla realtà. Senza valori, senza una morale anche solo decente. Sono persone lasciate a sè stesse, ma per loro scelta. Nessuno le costringe a vivere così e infatti cercano sempre di ripulirsi e uscire da quella merda. Tra morti per overdose, per HIV, per tragici quanto assurdi incidenti, ognuno di loro tira mentalmente le somme di un’esistenza al limite, quasi sprecata.

Io sono nata a fine anni ottanta, non ho visto – per fortuna – quel periodo, ma so che c’è stato. Non occorre vivere a Edimburgo o Londra o in qualsiasi altra capitale per sapere che quelli sono stati anni distruttivi. Anche qui dove sono io, di quella generazione sono rimasti pochi piccoli individui annichiliti e annoiati. Noi li chiamiamo highlander.

Se avete letto Trainspotting e vi ha sconvolto o disgustato, dategli una seconda occasione, non vi deluderà. Se non lo avete mai letto, andate in biblioteca o in libreria o dove vi pare e prendetelo. È un libro che va letto perchè è talmente reale che pare di avere davanti quella vita e quella gente. Sono tutti lì in fila per essere guardati, non credo vogliano essere compresi, io credo non vogliano niente. Sono semplicemente persi.

“La società s’inventa una logica assurda e complicata, per liquidare quelli che si comportano in un modo diverso dagli altri. Ma se, supponiamo, e io so benissimo come stanno le cose, so che morirò giovane, sono nel pieno possesso delle mie facoltà eccetera eccetera, e decido di usarla lo stesso, l’eroina? Non me lo lasciano fare. Non mi lasciano perchè lo vedono come un segno del loro fallimento, il fatto che tu scelga semplicemente di rifiutare quello che loro hanno da offrirti. Scegli noi. Scegli la vita. Scegli il mutuo da pagare, la lavatrice, la macchina; scegli di startene seduto su un divano a guardare i giochini in televisione, a distruggerti il cervello e l’anima, a riempirti la pancia di schifezze che ti avvelenano. Scegli di marcire in un ospizio, cacandoti e pisciandoti sotto, cazzo, per la gioia di quegli stronzi egoisti e fottuti che hai messo al mondo. Scegli la vita.

Beh, io invece scelgo di non sceglierla, la vita. E se quei coglioni non sanno come prenderla, una cosa del genere, beh, cazzo, il problema è loro, non mio. Come dice Harry Lauder, io voglio andare dritto per la mia strada, fino in fondo…”

E con questo, chiudo.

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